Italcon 39!


In quel di Bellaria quest'anno si intreccia per chi Vi scrive una serie di eventi:
-Ferro Sette è in nomination per il Premio Italia al miglior romanzo, (premio attribuito da votanti online) nonché per il Premio Ernesto Vegetti (questo attribuito invece da una giuria di professionisti) e sabato 25 sera saranno proclamati i rispettivi vincitori;
-Presenteremo la raccolta Crisis, otto racconti sulla crisi economica del 2014 a cura di A. Cola e F. Troccoli, sabato 25 alle 17.30;
-Presenteremo la raccolta Sinistre presenze, diciassette racconti horror politicamente impegnati, a cura di G. F. Pizzo, sabato 25 alle 18.00;
-Presenteremo la raccolta I sogni di Cartesio, ventun racconti di fantascienza in ambito filosofico, a cura di G. Panella e L. Ortino, sabato 25 alle 17.00;
-Incontreremo Michael Bishop, ospite d'onore, che venne intervistato su Fantascienza & Dintorni alcuni anni orsono.
-Ci divertiremo in mezzo a tutto il resto, tempo, viaggio ed elezioni amministrative permettendo!
Ci vediamo sabato.

Commenti dei lettori: Francesca, su Goodreads

"L'autore ha creato un'intera nuova ambientazione, evolutasi probabilmente dall'attuale umanità, ma della quale ha ormai perso memoria. Anche la situazione economica e politica è stata curata con intelligenza, per rafforzare i segmenti narrativi e senza mai appesantire la trama.
Molto molto carino."
Commento originale: qui.

Ferro Sette: un breve estratto per celebrare il 1 maggio.




Ferro Sette è un romanzo che nasce, anche, per difendere l'idea di un'Umanità libera e non fatta schiava della cultura della produzione. Per questo mi pare che pubblicarne un estratto, proprio oggi, abbia un senso.
Buona lettura e buon primo maggio.



«Quando l’umanità fece della produzione la sua legge fondamentale, la rovina ebbe inizio. Perdemmo interesse per tutto ciò che non fosse oggetto di scambio e di guadagno. E da allora, tutte le nazioni umane si diedero a una competizione esasperata al solo scopo di rendere sempre più produttivo il tempo trascorso in vita».
«Tutto cominciò molti millenni prima di oggi, amico mio. Quando ancora vivevamo su un unico pianeta, così piccolo, così felice. Il terzo di un sistema orbitante intorno a una stella solitaria e lontana».
Cercai di rimanere impassibile. C’erano molte leggende sull’origine dell’umanità e quelle sulla vecchia Terra, madre di tutti gli uomini, si sprecavano in decine di versioni diverse.
«Dapprima proibirono le arti figurative e posero limiti alla musica. Poi irreggimentarono la cultura. Ci furono stermini di massa. Poi la scienza venne addomesticata alle esigenze dell’industria. Il tempo divenne funzione dell’economia del possesso e del commercio. Il valore dell’uomo fu ridotto a merce. Il principio dell’essere sostituito con quello dell’avere. E poi…».
Si fermò e mi guardò dritto negli occhi.
«Poi qualcuno ebbe l’infausta idea di subordinare la vita a tutto ciò. La nostra vita, Tobruk Ramarren. Anche la tua vita. Quella che oggi tu vivi. O credi di vivere».
Quella parte mi suonò nuova.
«Loro abolirono il sonno».
Non capii quella parola. Finalmente mi decisi a parlare.
«Cosa cazzo è il sonno?».
«Guardati intorno, Tobruk Ramarren».
Hobbes indicò la caverna e i suoi occupanti, con un’ampia escursione del braccio, poi si soffermò sull’uomo disteso accanto a noi.
«Questo è il sonno!».
Mi fissò ancora, e riprese.
«L’essere umano ha gradualmente perso questa funzione primaria, e di conseguenza la sua evoluzione è stata distorta. I meccanismi biologici dell’esistenza sono stati lentamente e inesorabilmente piegati al volere di coloro che dominavano la storia.
Il tempo trascorso in stato di sonno iniziò a diminuire e parallelamente la vita si accorciò. C’è stato un tempo, Tobruk Ramarren, in cui donne e uomini potevano vivere fino a cento anni e anche oltre. Ed era solo grazie al sonno».
(...)
«Dopo che furono riusciti a eliminare il sonno, tutto fu più semplice per loro. La vita media si accorciò e così il periodo giudicato meno utile e produttivo dell’esistenza, la vecchiaia, scomparve, contraendosi in quella fase veloce in cui oggi l’uomo arriva alla sua morte. Ogni individuo poteva così dedicare ogni singolo minuto del proprio tempo al loro imperativo collettivo: la produzione».
Continuavo a chiedermi chi fossero loro. Nella sua teoria, Hobbes si riferiva probabilmente ai governi, ai potenti, ai dominanti di turno della storia dell’umanità. Non so se ipotizzasse una intenzione precisa, premeditata, di controllo totale della vita delle masse umane, o se invece parlasse di un meccanismo perverso che era iniziato in quel modo e che poi era continuato spontaneamente e del quale i carnefici stessi, in quanto esseri umani, furono infine anche vittime. Probabilmente la verità che Hobbes voleva vendermi stava da qualche parte nel mezzo.


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