L'intervista a "Il Futuro è Tornato".


Ringraziando Marco Stabile e tutto lo staff de Il Futuro è Tornato, dopo la recensione di Ferro Sette ecco anche il link all'intervista al sottoscritto. Il Blog in questione è a mio parere uno dei più curati e accurati nel settore fantascientifico.

La recensione di Fondazione.

Ringraziando l'amico Enrico Di Stefano per avermi fornito il testo, ecco la recensione di Ferro Sette apparsa sull'ultimo numero (il 20) della storica rivista di fantascienza, Fondazione.

Nel corso di un recente convegno accademico, riguardante il rischio desertificazione, si è parlato di come la Fantascienza potrebbe contribuire alla divulgazione scientifica. In quella sede si è sostenuto che il “valore aggiunto” che il genere ha portato alla modernità è stato l’affrontare problematiche ambientalistiche e sociologiche con le quali le comunità post industriali hanno dovuto puntualmente fare i conti. Concordo e cito, come esempio, il racconto Deep End di James Ballard del 1961 che sembra “profetizzare” lo scenario generato dalla scomparsa del Lago di Aral, effettivamente avvenuta negli anni ’70 – ‘80. Quando chi scrive ha avuto tra le mani il primo romanzo di Francesco Troccoli, Ferro Sette, non sapeva nulla di quanto vi avrebbe trovato. E’ stata una piacevole sorpresa lo scoprire che, con il progredire della lettura, dopo una prima parte decisamente d’azione, si parlava di ambiente e società, come nella tradizione della migliore SF per l’appunto. Ma andiamo con ordine. Il protagonista della storia, Tobruk Ramarren, è un ex miliziano in servizio sul pianeta Harris IV cui viene affidata una missione, tanto segreta quanto rognosa, mirante a sventare una congiura che potrebbe minacciare l’ordine costituito. Poiché la lettura è anche un esercizio di fantasia, mi è piaciuto immaginare il nostro eroe simile nell’aspetto al buon vecchio Jena Plinsken. La somiglianza però finisce qui perché mentre il personaggio creato da John Carpenter si colloca benissimo nella tradizione dell’eroe americano disilluso, ma dalla personalità strutturata, quello dell’autore nostrano si muove lungo un percorso iniziatico, sia pur tardivo. Tobruk non è totalmente cinico, come crede e vorrebbe far credere, e nonostante non sia più giovanissimo riesce a scoprire cose che, nascoste dalla nebbia di un’apparente banalità, non gli si erano mai palesate in tutta la loro importanza. Prende coscienza dei motivi che hanno spinto i potenti a limitare la terraformazione del pianeta; si rende conto che, sia pure in modo occulto, il sistema economico si regge su meccanismi di sfruttamento che rasentano la schiavitù; diventa consapevole di come perfino la biologia della specie umana sia stata stravolta per fini tutt’altro che nobili. E, soprattutto, stringe rapporti umani molto più profondi di quelli cui era abituato. A questo proposito, bisogna dire che le riflessioni del protagonista sono sempre pervase dalla malinconia di chi soffre della mancanza di qualcosa di indefinito. Ripensa spesso, ad esempio, alla sua ex compagna dalla quale è stato lasciato, ma non si capisce mai bene se risente della perdita affettiva o semplicemente del vuoto fisico che la donna ha creato allontanandosi. L’esplorazione dello spazio interno si accompagna in Tobruk a quella dello spazio esterno, il pianeta Harris IV, che lui ben conosce ma che ha sempre guardato superficialmente senza riuscire a vedere cosa si cela veramente sotto la superficie arida e riarsa. Ma grazie all’amicizia con il misterioso ed idealista Hobbes, il nostro eroe viene coinvolto in una rivoluzione che stravolge un po’ tutto: il mondo, le relazioni tra le persone, i ritmi biologici, l’ambiente e la sua stessa vita. Insomma in questo romanzo, davvero ben scritto ed avvincente, ci sono tutti gli ingredienti della buona fantascienza. 

Enrico Di Stefano